“E dategli ‘sto grip!”, esclamò un giorno l’ing. Mauro Forghieri, nel tentativo di spronare i propri tecnici.
Grip, appunto, ossia la miglior aderenza possibile degli pneumatici al suolo. In fondo, l’assetto si riassume in questa semplice parola inglese di quattro lettere: garantire, in ogni condizione di marcia, la più ottimale aderenza al suolo. Inevitabilmente, l’assetto racchiude in se molteplici sfaccettature tecniche: all’interno di esso, confluiscono telaistica, cinematica delle sospensioni, angoli caratteristici, aerodinamica, proprietà degli pneumatici, erogazione motore (sovente addolcita o esasperata secondo le esigenze del pilota e in funzione dell’assetto stesso della vettura), potenza e ripartizione della frenata, proprietà dello sterzo.
Una monoposto di Formula 1 – come tutte le vetture da competizione ad alte prestazioni e caratterizzate da un baricentro estremamente basso – richiede assetti del tutto particolari, unici possiamo dire. Assetti rigidissimi, al limite, in grado di ottimizzare il grip e l’impronta a terra degli pneumatici grazie a minimi e spesso impercettibili movimenti di sospensioni e, quindi, di tutta la vettura.
Come si intuisce facilmente, la ricerca del cosiddetto set-up è tutt’altro che facile.
Anzitutto, una monoposto di Formula 1 odierna è soggetta a numerose imposizioni regolamentari tali da influenzare l’assetto. Nel particolare, anzitutto, ci riferiamo al classico peso minimo a secco (dal 2013 alzato sino a 642 Kg) e, novità delle ultime stagioni, alla ripartizione dei pesi imposta (non meno di 292 Kg all’anteriore, non meno di 343 Kg al posteriore), modifiche entrambe dettate dall’innalzamento del peso di 2 Kg per set degli pneumatici Pirelli.
Altri parametri che intervengono nell’assetto di una vettura, come citato, riguardano l’aerodinamica. Il balance aerodinamico è “sbilanciato” verso il posteriore: in questo modo, le ruote posteriori – motrici – godono di maggior carico, ossia più aderenza al suolo, vitale in fase di accelerazione. Di solito, per tracciati medio-veloci si parla di circa il 40% sull’avantreno e circa il 60% ripartito al retrotreno.
Anche la altezza della vettura da terra gioca un ruolo fondamentale. Il Regolamento afferma che lo Step Plane (il piano che, concretamente e visivamente, coincide con il fondo vettura che circonda le pance laterali) deve essere rialzato rispetto al Reference Plane (il piano rispetto al quale vengono eseguite gran parte delle misurazioni) di almeno 50mm. Sotto il R.P., inoltre, viene applicato lo Skid Block, il pattino di legno – anch’esso rigidamente regolamentato – atto a scongiurare altezze da terra particolarmente ridotte. Le moderne F1, seguendo l’impostazione recentemente rispolverata da Adrian Newey sulle sue iridate Red Bull, adottano un rake – ossia un assetto picchiato – più o meno evidente e accentuato. Alcuni dati ufficiali parlano di 32mm di altezza anteriore e 80mm al posteriore (Lotus E20, Valencia 2012): le altezze da terra in questione, dovrebbero essere misurate rispetto al Reference Plane; le distanze, quindi, saranno appena minori quando rispetto allo Skid Block, maggiori quando rispetto allo Step Plane.
Trasferimenti di carico, maneggevolezza, capacità di scaricare a terra i cavalli, trazione, lavoro concorde e simultaneo con gli pneumatici. L’assetto è questo e molto altro ancora.
Le moderne sospensioni di Formula 1 sono abbastanza unificate nella loro fattura (ogni epoca, del resto, ha i propri dettami tecnologici), tuttavia i team godono di ampia libertà circa la fattura di questi importanti organi: geometrie, attacchi, bilancieri, schema (pull-rod o push-rod), ecc.
Come tutte le sospensioni da competizione – di ieri e di oggi – si presentano sofisticate, miniaturizzate, leggere e…visivamente assai appaganti (eccezion fatta per i braccetti anteriori inclinati all’ingiù per ragioni aerodinamiche legate ai musi alti…).
Si tratta sempre più di sospensioni a barra di torsione (elementi elastici in luogo delle più tradizionali – non meno efficaci ma senza dubbio più ingombranti e pesanti – molle), compattissimi e ultra-regolabili ammortizzatori idraulici, barre antirollio, schema pull (tirante) o puntone push-rod (nelle ultime stagioni “impazza” – di nuovo – il pull-rod (Newey docet un’altra volta…), doppi triangoli (superiore e inferiore), anche impropriamente detti “quadrilateri deformabili”, secondo una letteratura tecnica ormai arcaica.
Al gruppo barre di torsione-ammortizzatori, si aggiunge il cosiddetto “terzo elemento” (solo idraulico o molla-ammortizzatore completo), preposto alla regolazione ottimale dell’altezza da terra della vettura.
Negli ultimi due anni, la Lotus si è distinta per il particolare – ma non innovativo – sistema sospensivo posteriore. La Lotus E20 del 2012 – ed anche la E21 di questo 2013 – ha reintrodotto i cosiddetti ammortizzatori rotanti, azionati mediante tirante pull-rod. L’ammortizzatore rotante – al cui interno sono alloggiate lamelle equidistanti e forate (come tutti gli ammortizzatori idraulici) – agisce, appunto, mediante una rotazione attorno al proprio asse, tanto in “estensione” che in “compressione”. Un sistema efficiente, adottato dalla Ferrari agli inizi degli Anni 2000, compatto, leggero. Il tutto, completato da barre di torsione e barre antirollio.
Altra particolarità delle Lotus E20 ed E21 è la morbidezza – relativa, si intende – delle sospensioni. Dalle immagini televisive, infatti, è apprezzabile la “notevole” escursione di molleggio delle sospensioni. Evidentemente, le monoposto della scuderia di Enstone possono concedersi il lusso di tarare meno rigidamente i gruppi barre di torsione/ammortizzatori. Dunque, gli pneumatici sono soggetti a minor stress: non a caso, le Lotus sono tra le monoposto più dolci con gli pneumatici Pirelli, contraddistinti, come noto, da un degrado “per regolamento” repentino, imprevedibile. Tuttavia, non sempre questa scelta paga.
In queste ultime due stagioni, inoltre, sono tornate alla ribalta tipologie di sospensioni meccaniche-idrauliche che riproducono gli effetti anti-dive e anti-squat, dispositivi che vedono ancora una volta Lotus recitare il ruolo di capofila (dispositivo poi vietato, era montato a valle dei puntoni anteriori).
Ricapitolando. Quando il centro di beccheggio è situato al di sotto del baricentro (altezza di beccheggio positiva), in frenata la vettura tende ad abbassare il muso (dive) e ad alzare la coda. Viceversa, in accelerazione tenderà ad alzare il muso e ad abbassare la coda (squat). Esistono sistemi meccanici-idraulici atti a limitare questi trasferimenti di carico, spesso dannosi ai fini della massimale aderenza al suolo.
Ebbene, la Lotus E21 e la Mercedes F1 W04 adottano sistemi meccanici-idraulici che riproducono, senza l’ausilio della sofisticatissima elettronica in vigore sino al 1992 – vietata dai Regolamenti FIA dal 1993 – il comportamento delle sospensioni attive. Queste ultime, ricordiamo, mediante una complessa gestione elettronica, ottimizzavano in ogni condizione di marcia altezza da terra (con benefici aerodinamici), rollio e beccheggio.
Già nel 1992, iniziavano ad emergere le contraddizioni di quella che storicamente è andata delineandosi come una affrettata decisione presa dalla FIA: bandire, dal 1993, le sospensioni attive. Infatti, era ed è possibile riprodurre gli effetti delle “attive” attraverso dispositivi meccanici ed idraulici. Dunque, perché vietare le attive elettroniche?
Si tratta delle cosiddette sospensioni FRIC (Front and rear interactive control), ossia sospensioni interconnesse in grado di lavorare in simultanea. L’obiettivo, ovvio, è ottimizzare l’altezza da terra della vettura, contenendo i trasferimenti di carico longitudinali. La vettura, pertanto, rimarrà sensibilmente più “piatta”, il beccheggio ridotto al minimo, il fondo avrà la medesima altezza da terra tanto in frenata quanto in accelerazione grazie al controllo della sua variazione, a tutto vantaggio della qualità della deportanza.
Un sistema che, come si può intuire, ha positive ricadute anche sull’usura degli pneumatici, “poco” sollecitati in frenata e in accelerazione, le due fasi più critiche per quanto riguarda lo stress inflitto alle coperture. Vettura, dunque, più stabile, più “piatta”, più veloce in ingresso e percorrenza curva, più dolce con gli pneumatici.
Il FRIC non nasce oggi. Nel 1993, Aldo Costa e Gustav Brunner progettano la Minardi M193, vettura sincera e che offriva il meglio di se in gara. Ebbene, quella monoposto presentava un sistema sospensivo interconnesso, con l’obiettivo, appunto, di minimizzare le variazioni dell’altezza da terra in frenata e in accelerazione. Il sistema interveniva anche in percorrenza curva, quindi agendo sul rollio. La sospensione anteriore era interconnessa a quella posteriore mediante un link: un sistema idraulico azionato da attuatori posti in corrispondenza dei puntoni push-rod facevano sì che, anche in fase di frenata (dive), la sospensione posteriore si comprimesse (in sostanza, si schiacciava a terra), minimizzando il beccheggio. Il meccanismo inverso avveniva in accelerazione. A fine 1993, il link tra sospensione anteriore e posteriore veniva vietato dalla FIA per ritornare venti anni dopo!
Anche la Minardi, tuttavia, in quel 1993, non aveva inventato nulla di nuovo. Le sospensioni Hydrolastic – sospensioni interconnesse idraulicamente, la miscela era composta, in percentuali pari al 49%, da acqua distillata e alcool, ai quali venivano aggiunti colorante e anticorrosivo – facevano la loro comparsa nei primi Anni ’60 (!!) su modelli BMC e sulle Mini. Le Hydrolastic sono state successivamente rimpiazzate dalla Hydragas, sospensioni il cui link, però, connetteva ruote del medesimo assale. Tra le vetture provviste di sospensioni Hydragas ricordiamo le Austin Ambassador, Princess, Allegro, Maxi (versioni prodotte dal marzo 1978, sino a quella data la vettura era equipaggiata con Hydrolastic), Metro e Rover 100.
I trasferimenti di carico longitudinali (beccheggio) e trasversali (rollio) costituiscono “minacce” alla bontà di un assetto. Ribadiamo: mai e poi mai ricercare assetti estremamente marmorei – specie in vetture con baricentro alto, come le Turismo (fare le curve su tre ruote è controproducente). Tuttavia, beccheggio e rollio rappresentano pur sempre ritardi del corpo vettura, quindi con negative ricadute sull’aderenza degli pneumatici.
Le condizioni teoricamente ottimali – ma sovente difficili da realizzare – sono le seguenti.
Per quanto riguarda il beccheggio, la condizione ottimale è la coincidenza del centro di beccheggio (altezza di beccheggio nulla) con il baricentro: in questo modo, i trasferimenti di carico avvengono in maniera immediata, gli pneumatici possono realizzare il massimo grip.
Per quanto concerne, invece, il rollio, la condizione teoricamente ottimale prevede la coincidenza del centro di rollio (altezza di rollio nulla) con il baricentro: vettura piatta, trasferimenti di carico immediati, massima aderenza. Tuttavia, questa condizione comporterebbe, in linea teorica, la assenza della barra antirollio, oppure, se presente, la sua totale ininfluenza. Sappiamo che tale condizione non si verifica, anzi: le possibilità di regolazione e la sensibilità della barra antirollio sono prerogative essenziali nell’economia di un buon compromesso di assetto. Pertanto, un centro di rollio a terra (altezza di rollio positiva) consente un ampio ventaglio di regolazioni della barra antirollio, le cui regolazioni appaiono vitali nell’adattare l’assetto della vettura da circuito a circuito. Non solo: un’ampia forbice di regolazioni della barra antirollio (parimenti agli altri organi della sospensione) consente di adattare al meglio la vettura alle condizioni della pista (pioggia, umido, asciutto), prediligendo un assetto più morbido sul bagnato, più rigido sull’asciutto.
Ma non è tutto. La barra antirollio interviene anche nel controllo del sovrasterzo e del sottosterzo. In rilascio, può subentrare, infatti, il sovrasterzo di rilascio, fenomeno tipico delle vetture a trazione posteriore allorché le ruote posteriori si scaricano durante il moto di dive. In accelerazione, al contrario, può verificarsi il sovrasterzo di potenza, allorché le ruote anteriori si scaricano durante il moto di squat.
Non solo. Un corretto assetto (ma sappiamo che l’assetto è anche un continuo compromesso: l’assetto perfetto non esiste) dovrebbe essere in grado di evitare i bloccaggi delle ruote – in particolare di quelle anteriori – in frenata. Il bloccaggio, infatti, è una condizione non ottimale: le ruote perdono direzionalità (anche girando il volante, la vettura non curva o lo fa con difficoltà), le gomme si spiattellano (ne scaturisce un fastidioso “gradino” che produce vibrazioni). In genere, la ruota che va al bloccaggio è quella in scarico: in caso di curva a destra, arriverà al bloccaggio più repentinamente la anteriore destra, in caso contrario la anteriore sinistra. Ciò è dovuto all’instaurarsi del trasferimento di carico trasversale, il rollio.
Come abbiamo visto, le sospensioni non solo sono delegate allo smorzamento e all’assorbimento delle asperità stradali (cordoli compresi), ma assolvono un ruolo più ampio. Determinanti, ai fini di un corretto assetto, i cosiddetti angoli caratteristici delle ruote.
Campanatura (camber, in inglese), convergenza Toe-in e Toe-out, caster, solo per citare i principali e i più noti.
In particolare, l’angolo di camber – positivo, nullo o negativo, ossia l’angolo realizzato dall’asse passante per la mezzeria della ruota rispetto alla perpendicolare al terreno – è molto importante. Nelle vetture racing, questo angolo è negativo, ossia le ruote assumono la caratteristica angolazione divaricata verso l’esterno (in caso di campanatura negativa, l’angolo viene misurato nella parte alta della ruota). Analizzare con dovizia di particolari e scientificamente gli angoli caratteristici richiederebbe interminabili spazi. Basti ricordare, però, che il camber negativo è necessario affinché si abbia più gomma a terra in curva. Gli angoli di camber variano da vettura a vettura, da pilota a pilota, da gomma a gomma.
La Pirelli, alla luce del degrado per regolamento “anomalo” delle proprie coperture, consiglia caldamente (quasi imponendolo…) angoli di camber non superiori a 3 o 3.5 gradi per quanto concerne le ruote anteriori, così da preservare il più possibile il delicato battistrada degli pneumatici italiani. Al posteriore, l’angolo di camber negativo è di norma inferiore, anche 1 solo grado.
Infine, relativamente all’angolo di convergenza Toe-in e out (angolo descritto dal piano passante per la mezzeria della ruota rispetto all’asse longitudinale della vettura) si parla di 1mm Toe-out all’anteriore e 2mm di Toe-in al posteriore. L’angolo di convergenza serve a compensare lo sforzo che le sospensioni debbono sopportare in frenata e in accelerazione o che solo si produce in seguito all’attrito degli pneumatici con il suolo. In caso di Toe-in, le ruote assumono una convergenza chiusa, in caso di Toe-out assumeranno, viceversa, un angolo aperto. Scontato dire e ribadire che questi angoli hanno influenza sulla traiettoria, direzionalità, stabilità, consumo gomme.
Ebbene, il leitmotiv della Formula 1 odierna risiede nel consumo degli pneumatici. La Pirelli, che avrebbe dovuto far debuttare gli pneumatici riprogettati e meno “rognosi” al GP di Silverstone (dopo il rinvio canadese…), posticiperà ancora tale debutto. I team, tuttavia, in fase di conversione dagli pneumatici attuali con struttura in acciaio a quelli in kevlar, dovranno lavorare sodo allo scopo di riadattare la ciclistica delle rispettive vetture alle nuove gomme.
Fortunatamente, l’esperienza degli anni passati tornerà utile a tutti. Alla ricerca di un degrado possibilmente uniforme, graduale e meno negativamente condizionante per quanto riguarda sicurezza e prestazioni e, giustappunto, del migliore assetto.
Scritto da: Paolo Pellegrini